Posto qui di seguito un articolo abbastanza lungo che ho scritto più di due anni fa sulla crisi debitoria greca
CRISI GRECA, CRISI DI TUTTI
Riflessioni di un profano
Quanto sta
succedendo in Europa da qualche mese a questa parte è di portata veramente
colossale, a tal punto che è proprio il caso di farsi un quadro della
situazione, dal momento che ci riguarda da molto da vicino. Analizzare i
meccanismi e le dinamiche di ciò che ci accade serve anche per guardarsi dall’
attribuire colpe e responsabilità a chi, magari, non c’entra niente o quasi.
.
Mettiamo
preliminarmente sul tavolo alcuni dati e facciamo quattro conti e alcune
considerazioni: sappiamo che il debito pubblico è quanto uno Stato deve
restituire ai suoi creditori; sappiamo anche che, piuttosto che la cifra, il
debito pubblico si suole indicare in percentuale rispetto alla ricchezza
prodotta ogni anno dallo Stato stesso, il cosiddetto PIL (Prodotto Interno Lordo). Sappiamo anche che un altro dato
interessante è il deficit, cioè
quanto uno Stato spende in un anno, e che anche questo dato viene espresso in
percentuale sulla base del Pil. Bene, si dice che la Grecia sia in difficoltà
perché ha un debito pubblico alto –si parla del 129% per un ammontare di più di
300mld di euro-, e perché ha registrato un deficit alto, pari al 14% del Pil.
Ancora, si dice che Portogallo e Spagna comincino a essere nei guai e stiano
rischiando; eppure il loro debito pubblico è ben al di sotto del fatidico 100%,
specie per la Spagna. Si dice che a generare incertezza sulla loro tenuta
finanziaria sarebbe il deficit di quest’anno –quello della Spagna sarebbe
superiore al 10% del Pil. Quindi, a guardare questi dati verrebbe da dire che
avere un debito pubblico e/o un deficit elevati sia un male per l’affidabilità
dell’economia di un Paese. Ma attenzione! Prendiamo l’esempio del Giappone: i
numeri sul suo debito pubblico oscillano – mi dispiace non fornire dati certi,
ma il punto è che, ovunque ci si volga, i numeri sono sempre oscillanti- dal
192% al 220% del Pil! Cosa? Come è possibile che il Giappone non sia già
fallito da un pezzo? Forse, dunque, dobbiamo rivedere l’affermazione di poco fa
circa la pericolosità che un debito e un deficit alti rappresentano per uno
Stato. Dove starebbe, allora, la differenza tra la Grecia e il Giappone?
Circolano
tante letture di questo strano caso: per esempio, che in Giappone le tasse
dirette e indirette sono basse e che, se ce ne fosse bisogno, potrebbero essere
aumentate per pagare il debito. Un’altra differenza spesso citata è che il
debito pubblico giapponese è, in buona parte, in mano ai piccoli risparmiatori
giapponesi; mentre, nel caso dei debiti di altri Stati, esso è per lo più
detenuto da banche, e per di più in grandi stock, in enormi ammontari. Che sia
questa la grande differenza, dunque? E cioè che un risparmiatore non può e non
vuole speculare, mentre una banca, magari straniera, di fronte ad una quota
consistente del debito di un Stato potrebbe anche pensarci?
Un fatto è
assodato: tutti i Paesi dell’Unione europea hanno parti cospicue del debito
pubblico in banche straniere. Facciamo l’esempio della Grecia: circa 75mld di
euro in banche francesi e circa 45mld in banche tedesche. Possiamo ora
chiederci per quale motivo una banca dovrebbe comprare il debito di un altro
Stato. Una risposta plausibile è che un debito ha un interesse, cioè cresce: in
altri termini, è un guadagno che aumenta semplicemente perché passa il tempo
–il meccanismo più vecchio del mondo, ma che non smette, a ben vedere, di
stupire per la sua perversità. Dunque le banche ci guadagnano nella misura in
cui è garantito loro un interesse che deve essere pagato. Chiarissimo, no?
Se vogliamo
tirare le somme fin qui, sembra proprio che un debito pubblico e/o un deficit
alti non sono di per sé dei buoni motivi per i quali uno Stato dovrebbe
rischiare la bancarotta; e il Giappone è lì a ricordarci questo.
Ma non è
finita qui, perché ancora non abbiamo fatto alcuna menzione dei recenti
prodotti dell’alta finanza e di come possano influenzare questi meccanismi di
cui abbiamo finora parlato. Viene quindi la volta di parlare dei Cds (Credit
Default Swap). Si tratta di contratti
decisamente intricati e fino a qualche tempo fa pressoché sconosciuti, ma di
cui si parla sempre di più in questo periodo travagliato. Riproduco qui di
sotto parte di un articolo scritto qualche giorno fa:
“[I Cds] sono stati il tema di
una interessantissima puntata di Report,
“Speculando s’impara” del 8/04/2008. Detto in poche parole: un ente pubblico,
come uno Stato, può decidere di assicurare il proprio debito con una banca, una
operazione che potrebbe anche essere definita una copertura dalla variazione
dei tassi-una cosa complicatissima! Questa assicurazione consiste nei Cds, per
l’appunto, i quali, oltre ad avere un costo implicito per chi decide di
avvalersene, possono essere acquistati e scambiati da chiunque. I Cds circolano
nel cosiddetto mercato Over the counter che, tradotto, significa che si tratta di
titoli che non figurano nei listini di borsa, e possono quindi assumere i
valori più diversi, perché legati solo alla dinamica della domanda/offerta.
Aggiungiamo adesso un altro particolare rilevante:
“è interessante notare che al 30
settembre 2009, negli Stati Uniti, il 96% dei contratti swap (in cui sono
ricompresi i Cds) era intermediato (come fa peraltro notare il blog IcebergFinanza)
da solo cinque banche: JpMorgan, Bank of America, Goldman
Sachs, Morgan Stanley e Citigroup. Il dato, pubblicato dall'Office
of the comptroller of the currency, è riferito ad un valore nominale di
oltre 172 triliardi di dollari.”(“Debito statale e solvibilità, la speculazione
spinge i Cds”, di Vittorio Carlini da
Il Sole 24ore del 8/2/2010)
Come si specula con i Cds, titoli
per loro natura così volatili? Non è difficile immaginarlo. Facciamo un esempio
di fantasia: poniamo che la Grecia venda parti cospicue del proprio debito a
una banca, diciamo la Goldman Sachs, che in questo momento è sotto processo da
parte del Senato americano e marcata stretta dalla SEC (organismo di controllo
della borsa di Wall Strett); la banca in questione si fa pagare delle
commissioni per gestire e vendere un debito pubblico avendone acquisito, al
contempo, molte informazioni; diciamo poi che la stessa banca detiene anche i
Cds sul debito greco. Il valore dei Cds
sale tanto più, quanto più probabile e imminente è l’insolvibilità o default, come si dice: cioè che questa
assicurazione venga pagata. In altri termini, se Tizio ha l’assicurazione sulla
macchina di Caio comprata a 10 –sembra assurdo, ma questi sono i termini della
questione!-, e ci vuole speculare, allora avrà tutto l’interesse che il mercato
creda che è molto più probabile di quanto non si ritenesse in precedenza che la macchina di Caio prenderà fuoco. Il
valore dell’assicurazione salirà, perché sarà più probabile che l’evento contro
cui ci si è assicurati accada; allora Tizio si ritroverà in mano la possibilità
di vendere [a Sempronio] magari a 50 l’assicurazione che aveva comprato a 10.
Ora, il punto è che, se la Goldman Sachs avesse voluto speculare sulla
situazione della Grecia, avrebbe potuto farlo in ragione delle informazioni sul
debito e della gestione dei Cds ad esso correlata. Ovviamente non è dato sapere
se questa ipotesi ha un effettivo riscontro, ma possiamo dire che è avvenuto
quanto segue: la Grecia e la Goldman Sachs sono entrati in rapporti nel 2002;
la crisi finanziaria greca ha fatto schizzare alle stelle i Cds, e complimenti
a chi ci ha guadagnato un bel po’.”
Su questi
derivati, i Cds in special modo, si è acceso un dibattito: da una parte, visto
che si tratta di assicurazioni, si ritiene che siano un fattore di stabilità e
di garanzia contro possibili default;
dall’altra si schierano coloro che ritengono che tali titoli abbiano dato il
viatico a folli speculazioni, in grado di mettere in serie difficoltà
l’affidabilità e la tenuta degli Stati. Tra l’altro, ultimamente il mercato
sembra confermare una regola: più uno Stato sta male e più è probabile che starà
ancora peggio. Cerchiamo di spiegarci: esistono le agenzie di rating che danno dei veri e propri voti
alle economie degli Stati. Sulla base di queste valutazioni vengono presi in
considerazione diversi indici, tra cui anche il valore dei Cds. Ma perché un
brutto voto può complicare la vita a uno Stato? Intanto il mercato comincia ad
avere meno fiducia nei confronti dello Stato e chiede qualcosina di più. I bond (o obbligazioni), ad esempio, sono
dei titoli di Stato che vengono venduti al fine di reperire soldi contanti,
liquidità, e che vengono ripagati alla scadenza degli stessi con l’interesse.
Ora, i bond tedeschi si attestano intorno a un interesse del 3%; vengono ormai
presi come riferimento rispetto ai bond degli altri Stati, perché –si sa- la Germania
è una roccia, tutti vi ripongono piena fiducia, e i tassi di interesse sono
bassi. Che succede, invece, a paesi che non avrebbero la stessa solidità?
Vendono bond a tassi più alti per
renderli più appettibili. Ma non è tutto. Qualche giorno fa (27/04/2010)
l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha abbassato il rating (la
valutazione) della Grecia con outlook
(o meglio, prospettiva) negativo e i suoi bond sono schizzati alle stelle: i
bond con scadenza biennale sono arrivati a toccare un interesse del 20% e
quelli decennali del 10%, il che è per il Paese ellenico assolutamente
insostenibile! Quindi, i tassi di interesse dei bond cambiano anche dopo che
sono stati emessi e, quanto più salgono, tanto più mettono in difficoltà i
pagamenti, finendo col prospettare il default come l’esito sempre più
probabile. Tutto collegato. In questo senso possiamo dire che nel mercato
attuale, se stai male, sei destinato a stare peggio.
Ma torniamo
ai Cds e ai cosiddetti derivati. Su la Repubblica, “Affari & Finanza”
del 3/05/2010 si leggono delle cose davvero interessanti nell’ articolo “Cds in
bilico tra arbitri del mercato e speculatori”. Oltre al fatto che c’è chi li
condanna e chi li difende, apprendiamo un dato a dir poco sconcertante:
“ “I Cds
hanno una loro importante funzione in termini di conoscenza, semmai bisogna
renderli più trasparenti. Il mercato dei derivati vale dodici volte il Pil
mondiale, qualcosa come 600 trilioni di dollari. Il 90% di queste
contrattazioni avviene al di fuori dei mercati regolamentati”, afferma Giorgio
De Felice, capo economista di Intesa San Paolo”
Secondo De
Felice la soluzione consisterebbe in una maggiore trasparenza nella
compravendita. Tutto qua. Il mio senso comune mi induce invece a pensare che,
se circolano in un mercato over the
counter derivati per un valore nominale (o fittizio) di 600.000.000.000.000
-scritto così fa più effetto- di dollari americani, che corrispondono a dodici
(!) volte la ricchezza prodotta dal mondo intero ogni anno, forse è il caso di
fermarsi un attimo per capire di che si tratta. Prima di procedere col nostro
ragionamento, decisi come siamo a fare delle considerazioni su queste cifre
astronomiche, vediamo un po’ di chiarirci il termine bolla speculativa.
“ Viene
definita una bolla speculativa l'aumento ingiustificato ed esagerato dei
prezzi, soprattutto riguardo al mercato finanziario, cioè ai prezzi di azioni e
obbligazioni e ai giochi di borsa, ma accade anche che esso venga correlato ai
beni materiali e delle risorse più in generale. La crescita immotivata, in una
bolla speculativa, appare ingiustificata e slegata da ogni principio razionale,
e soprattutto non correlata dal valore del materiale indicato […]. La bolla ha
come caratteristica principale quella di ingigantire l'entusiasmo attorno ad
essa, fino a raggiungere una situazione di tracollo.
La bolla infatti propone facili ed enormi guadagni, e gli investitori sono attratti più che mai dalla possibilità.
In un primo momento per l'appunto il guadagno appare immediato e costante: questa è la fase d'ascesa della bolla, dove l'arrivo di persone richiama l'arrivo di altre persone. In questa maniera i ricavi aumentano esponenzialmente, almeno fino a quando persone continuano ad investire nell'affare. Ma ad un certo punto si arriva ad una nuova situazione, quella in cui i dubbi e l'insicurezza a proposito di un guadagno perenne vanno scemando. E in questa maniera si arriva allo scoppio della bolla: un periodo di panico generale dove ognuno cerca di poter vendere le proprie azioni, conscio di un crollo totale dei prezzi.”
La bolla infatti propone facili ed enormi guadagni, e gli investitori sono attratti più che mai dalla possibilità.
In un primo momento per l'appunto il guadagno appare immediato e costante: questa è la fase d'ascesa della bolla, dove l'arrivo di persone richiama l'arrivo di altre persone. In questa maniera i ricavi aumentano esponenzialmente, almeno fino a quando persone continuano ad investire nell'affare. Ma ad un certo punto si arriva ad una nuova situazione, quella in cui i dubbi e l'insicurezza a proposito di un guadagno perenne vanno scemando. E in questa maniera si arriva allo scoppio della bolla: un periodo di panico generale dove ognuno cerca di poter vendere le proprie azioni, conscio di un crollo totale dei prezzi.”
Il solito
senso comune qui mi dice che questo mercato di derivati, di cui una parte cospicua
è costituita dai Cds, sembra avere proprio tutte le caratteristiche di una
“bolla finanziaria”; una bolla che ha raggiunto dodici volte il Pil mondiale. E
se dovesse scoppiare, come fanno tutte le bolle? Diciamo che il mercato dei Cds
in questi ultimi tempi sta crescendo a dismisura per via dei tanti fallimenti
annunciati o imminenti degli Stati. E il loro valore crescerà fino a quando il
soggetto che assicurano non fallirà. Ecco lo scoppio: dunque lo Stato dichiara
la bancarotta; la banca assicurante paga questi Cds -oppure no, perché fa un
altro gioco dei suoi (siamo nel campo delle ipotesi)-; la stessa banca, se ha
voluto specularci, nel frattempo ha fatto bei soldi; altri speculatori hanno
fatto anche loro dei buoni affari; milioni di persone perdono tutto o quasi e
si ritrovano in un paese azzerato e nel caos. Altro spunto possibile: che il
valore di questi Cds possa crescere a tal punto da superare persino il valore
che verrebbe corrisposto in caso di fallimento? Cioè che un Cds, che inizialmente
vale 1 e che assicura un bene –la solita macchina- che vale 100, possa crescere
così tanto da valere 300? Il che significherebbe che la banca che fosse
riuscita a vendere a 300 l’assicurazione che valeva 1 ci guadagna comunque,
anche dovendo pagare l’assicurazione per il valore di 100. Ma si tratta di un
caso di fantasia e del tutto ipotetico. Certo, però, questo mercato di derivati
di 600 trilioni di dollari, valore altissimo e,possibilmente, gonfiatissimo,
deve essere arrivato in qualche modo ai suddetti livelli “slegati da ogni
principio razionale”!
Io ritengo
che se in questo momento sembra che, uno dopo l’altro, gli Stati siano in
affanno e rischino di fallire, ciò non è dovuto alla fragilità dell’economia
-saremmo in piena ripresa-, e neanche a debito pubblico e deficit alti –vedi
Giappone- , ma perché un certo mondo della finanza con i debiti e con i
fallimenti ci fa un sacco di soldi.
Che accadrà?
Ho trovato una interessante affermazione di certo Ludwig
Von Mises (1881-1973), economista austriaco che ha lavorato per lo più negli
States, che dice:
"Non c'è modo di
evitare il collasso finale di un boom indotto da un'espansione creditizia. La
scelta è solo se la crisi debba avvenire prima come risultato dell'abbandono
volontario di un'ulteriore espansione del debito o più tardi con la totale
catastrofe del sistema monetario coinvolto"
Ammetiamo pure che le cose stiano così. Quale sarebbe
una possibile soluzione? Forse l’azzeramento in tronco del debito pubblico e la
messa al bando dei Cds e dei derivati in generale. Significherebbe che gli
Stati darebbero il ben servito ai creditori, i quali, dopo tanti interessi
incassati e dopo tante speculazioni andate a buon fine, pagherebbero, una volta
tanto, di tasca loro. Significherebbe fare “sgonfiare” la bolla senza che a
pagarne le conseguenze siano gli Stati e le persone, per ritornare all’
economia reale fatta di lavoro vero e non di giochi speculativi, capaci di fare
collassare il sistema in nome del dio denaro. Ma c’è una notizia datata 4 maggio 2010 che solo pochi giornali hanno
diffuso e che si trova, per esempio, nel Bloomberg business (www.businessweek.com/news/2010-05-04/merkel-s-coalition-calls-for-eu-orderly-defaults-update1-.html). In due parole, il cancelliere Angela Merkel
starebbe studiando la possibilità per uno Stato dell’Unione europea di
dichiarare lo stato “d’insolvenza ordinaria”, i cui risvolti –devo dire- non mi
sono chiari. Sembrerebbe un modo per ripartire le spese di una ristrutturazione
del debito tra creditori e i contribuenti dello Stato in questione: in soldoni,
stavolta non sarebbe soltanto il popolo contribuente a pagare il conto, ma
anche chi detiene il debito pubblico -i creditori, per l’appunto.
A motivare
una mossa di questo tipo sarebbe la concreta possibilità di evitare questo
inutile e fallimentare prestito alla Grecia, oneroso per gli Stati membri
dell’Unione europea –ancora più oneroso per la Grecia nella fase di
restituzione, visto il tasso decisamente elevato - e, ancora, di bloccare i brutti tiri della
speculazione. Chissà.
A me pare
chiaro che, se le istituzioni non si muoveranno in modo drastico e repentino
contro il mondo della speculazione finanziaria, per come stanno le cose oggi la
Grecia fallisce, e con lei altri Paesi europei, con ripercussioni pesanti per
tutte le altre economie. In altre parole, si è arrivati al punto limite in cui,
o la politica ammette a se stessa che la speculazione finanziaria, che crea
guadagni dal nulla e che fa un “servizio” agli Stati, perché ne alza
artificiosamente il Pil, minaccia l’esistenza degli Stati stessi; o la bolla
scoppia con conseguenze imprevedibili e incontrollabili.
Quale che
sia l’esito di questa situazione, torniamo adesso al motivo per cui sto
scrivendo questo articolo di opinione. Vedendo la piega che sta prendendo la
stabilità dell’Europa, mi sono fatto l’altra notte una domanda: se succede che,
una dopo l’altra, le economie degli Stati europei crollano, cosa penseranno di
questa grande catastrofe le persone coinvolte? Che è colpa dei Greci, che ci
hanno “contagiati”? Dei Tedeschi, che hanno esitato a dare il prestito? Degli
Spagnoli? Dei Portoghesi? O di qualche altro popolo ancora?
Io spero che
chi legge questo articolo, come me, ritenga che la colpa di tutto ciò sarebbe
di qualche politico corrotto o avventato e del mondo della finanza che specula
su questa crisi, probabilmente indotta.
Credo in
quello che sto scrivendo, e credo di essere arrivato a qualche conclusione, a
una maggiore approssimazione alla verità rispetto a quella che sento ai
telegiornali.
Non venga in
mente a nessuno di dare la colpa a un popolo, sia esso greco, tedesco o
americano. E se qualcuno lo fa, spieghiamogli perché si sbaglia. Per questo è
compito di ognuno informare quante più persone possibile. Facciamo in modo che
l’odio tra i popoli non alzi la cresta.
Palermo,
7/5/2010